I diversi volti della personalità nel processo psicoterapeutico e uno sguardo al DPA

Articolo della dott.ssa Laura Rapanà 
da Giunti Psychometrics

I diversi volti della personalità nel processo psicoterapeutico e uno sguardo al DPA – Dimensional Personality Assessment 

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Introduzione

L’esigenza di trovare un’organizzazione dei comportamenti umani risale agli albori della storia. Ippocrate di Kos (460-377 a.C. circa) tentò di riportare una classificazione suddividendo, in base all’umore fondamentale presente nel corpo della persona, quattro tipi classici della personalità: il collerico, il melanconico, il flemmatico e il sanguigno.

Da quella prima rappresentazione ippocratica che andò a individuare un temperamento in un individuo, ce ne sono state altre che sono andate a organizzare delle tipologie pensando che la personalità rimanesse immutabile (Roberts e Caspi, 2001).

Ciò che oggi abbiamo individuato con una certa chiarezza è che ci sono diverse componenti da prendere in considerazione nel definire la personalità di un essere; è perciò importante comprendere l’interazione tra fattori costituzionali innati, fattori educativi e fattori ambientali: l’intervento di madre natura ci porta a riconoscere un temperamento con il quale si riconoscono degli aspetti costituzionali e gli effetti socio-culturali-storici-educativi dell’ambiente in cui si cresce e si vive ci portano a riferirci al carattere e a tutte quelle influenze apprese tramite il processo di socializzazione che definiranno probabilmente dei tratti che potrebbero sottostare poi a degli stili.

Inoltre, noi studiosi dell’argomento abbiamo da prendere in considerazione i modelli teorici di appartenenza che attivano una percezione selettiva rispetto ai fenomeni osservati.

Quindi, se il mio orientamento teorico è psicodinamico, cognitivo, comportamentale oppure fenomenologico, avrò una specifica lente che mi farà osservare aspetti diversi dell’esperienza umana.

La lente della teoria dell’attaccamento ad esempio mi permetterà una prospettiva ancora diversa. In più, la teoria dell’attaccamento rappresenta anche uno strumento per valutare la continuità durante la crescita di un individuo e per comprenderne lo sviluppo dei tratti di personalità oppure la loro stabilità, giacché i pattern di attaccamento definiscono le caratteristiche delle relazioni sociali e le rappresentazioni mentali che ognuno ha delle persone che gli sono accanto (Lingiardi e Gazzillo, 2014).

I diversi volti della personalità

Il concetto di personalità rientrerà quindi, secondo la teoria di riferimento, entro modelli differenti, utilizzando metodi, obiettivi e modalità d’analisi, a volte anche molto discordanti tra loro.

Per questo motivo anche in Italia si è finalmente affermata oggi una visione psicologica integrata dell’essere umano che permette di osservare la persona il più possibile nella sua interezza e quindi di avviare trattamenti psicoterapici con tale riferimento (Livesley, Dimaggio e Clarkin, 2016).

Anche se, a onor del vero, già nel 1995 fu pubblicato il “Manuale di Psicoterapia integrata” (Giusti, Montanari, Montanarella, 1995) e Giusti, cercando di capire cosa potesse realmente funzionare in una terapia, colse tutti quegli aspetti essenziali nella moltitudine e pluralità degli indirizzi presenti e identificò dei denominatori comuni alle psicoterapie (Giusti, 1997).

È importante riconoscere che il nostro approccio alla realtà, ciò che ci aspetteremmo di osservare come normale, sia inevitabilmente influenzato dalla base teorica di riferimento che influenzerà di conseguenza la nostra valutazione rispetto alla devianza dalla norma e quindi il nostro intervento clinico o psicoterapico; di conseguenza, la cura sarà rivolta a trasformare il malessere verso quello che riteniamo un modo di essere più normale, ma sempre sulla base del nostro punto di vista.

Non è questa la sede per addentrarsi oltre, né in una storiografia dell’evoluzione del concetto di personalità, né tanto meno di riuscire a definire con chiarezza la reale distinzione tra patologia e saluto-genesi perché di certo non basterebbero poche righe e senz’altro si attiverebbero dibattiti calorosi, data la complessità e profondità dell’argomento.

Lo scopo del presente scritto è di riconoscere l’inafferrabilità dei cambiamenti dei volti con i quali la personalità può esprimersi nella storia come concetto e nella vita di ogni singolo individuo come difficoltà a controllare tutte le variabili che sono in continuo movimento.

Sappiamo che ogni essere è speciale e unico e che esistono alcuni tratti di come ci comportiamo e/o pensiamo di fronte a stimoli differenti che rimangono tendenzialmente stabili; questo ci rassicura e ci permette di avere un senso di sé integro, una costante e unitaria consapevolezza di noi stessi.

Altresì sappiamo anche che non sapremo mai con certezza quale sarà la nostra reazione a un’esperienza nuova.

Ad esempio, se immagino che in caso di un incendio improvviso del palazzo in cui mi trovo farò l’eroina che si avventurerà a salvare un gattino indifeso, seppur presente la forza di un’energia mentale di una fantasia positiva che mi contraddistingue per il fatto che io abbia immaginato tale versione dell’evento, non potrà essere un reale aspetto che si andrà a mescolare tra gli altri della mia personalità, finché non sarà un’esperienza vissuta nella realtà.

Effettivamente potrebbe anche capitare, nonostante la fantasia avuta, che in una tale situazione il panico prenda il sopravvento ed io reagisca nascondendomi paralizzata dalla paura sotto una scrivania in attesa dei soccorsi.

La personalità è quindi dinamica nell’arco della vita di una persona (Roberts, Walton e Viechtbauer, 2006) e gli esseri umani affrontano continuamente eventi che li cambiano; lo stesso arco di vita presenta nodi cruciali di passaggio necessari per evolvere una maturazione psicofisica adeguata al contesto sociale (Erikson, 1976; 1999).

In tutto questo di notevole importanza è anche la resilienza, cioè la capacità dell’individuo di adattarsi in maniera positiva a una condizione negativa e traumatica con la possibilità di riorganizzare la propria vita in modo funzionale.

La personalità dello psicoterapeuta

Non solo i clienti/pazienti sono in un divenire, il Sé è in un continuo mutamento (Giusti, 2002) e logicamente anche noi della categoria non siamo esenti da questo processo; anche se, a volte, può capitare di dimenticarlo e può capitare di far prendere il sopravvento a un illusorio senso di onnipotenza (Giusti e Rapanà, 2011).

Quanto gli eventi della nostra vita influenzano la nostra “personalità professionale”? Iniziamo la nostra attività in una fase di vita con delle caratteristiche personali e forse ciò coincide anche con una certa tipologia di presa in carico di clienti/pazienti.

Poi la vita prosegue con vissuti, esperienze, chissà traumi e anche il nostro agire professionale si arricchisce oppure ne viene toccato malamente, oppure rimane inalterato (Adams, 2014). Sono dell’opinione, dopo 25 anni di esperienza nell’esercizio della professione, che la figura del terapeuta debba usufruire di una “supervisione permanente” a tutela personale perché siamo una delle categorie più a rischio di burn out, e a tutela del cliente/paziente perché alcuni vissuti personali del professionista potrebbero interferire con il cambiamento della persona in trattamento (Giusti e Rapanà, 2019).

Ciò per sottolineare che è il nostro vivere che ci permette di crescere veramente, di conoscerci, di maturare e sviluppare il nostro processo d’individuazione.

Diventare dei genitori, degli zii, dei nonni, dei capi, diventare ricchi oppure poveri, perdere il lavoro, oppure vincere alla lotteria, essere traditi oppure diventare traditori, sono tutte esperienze di vita che ampliano la nostra esistenza, nel bene o nel male, permettendoci di verificare, di volta in volta, i nostri comportamenti, i nostri pensieri e le nostre emozioni.

Quando la nostra fantasia iniziale di come potevamo reagire a una situazione corrisponde ai nostri reali vissuti dell’evento, ci conferma la visione che abbiamo di noi; in altri casi ci potremmo stupire, in altri ancora rimanerci male. In ogni modo sarà necessario apportare un nuovo aggiornamento al nostro concetto di Sé (Giusti, 2002).

Il disturbo di personalità

Sicuramente, quando dei tratti di una personalità sono invece troppo rigidi, ripetitivi fino ad arrivare a essere invalidanti per la persona, disturbanti per il suo funzionamento complessivo perché riprodotti in ogni occasione e in modo stereotipato senza il normale adattamento necessario alla vita sociale, si parla di disturbo di personalità.

Nella formazione di un disturbo di personalità possono intervenire diversi fattori e la combinazione tra essi: biologici innati, ambiente sociale/culturale di appartenenza, dinamiche familiari complesse, educazione rigida, accettabilità sociale del proprio temperamento, attaccamento insicuro, assenza di resilienza.

Poter diagnosticare i vari disturbi oppure stili e i tratti sottostanti, aiuta a pianificare un trattamento psicoterapeutico adeguato.

Il funzionamento della personalità secondo il DSM-5

Contemporaneamente può essere di grande aiuto anche la valutazione del funzionamento di personalità come riportato nel Modello Alternativo introdotto nella sezione III del DSM-5 (APA, 2013; ed. it. 2014) dove è stato aperto uno spiraglio alla dimensionalità.

Noi professionisti della salute mentale abbiamo la necessità di appoggiarci a un modello riconosciuto e il tentativo ad esempio del DSM-5 di proporre una Scala del Livello di Funzionamento della Personalità (Level of Personality Functioning Scale, LPFS) attraverso il funzionamento del Sé che comprende l’identità e l’autodirezionalità, e il funzionamento Interpersonale che comprende l’empatia e l’intimità, credo abbia dato una svolta alla possibilità di condividere un modo di osservare il fenomeno, non più limitato solo alla diagnosi categoriale.

Questi elementi interni (funzionamento del Sé) ed esterni (funzionamento Interpersonale), includono l’idea di un’integrazione di apparati che si sviluppano con aspetti biologici, culturali e familiari.

Ciò ci fa arrivare a immaginare un soggetto, non tanto solo suddiviso nelle sue tipologie, ma a pensare: come funziona? Com’è l’agire di questa persona? Come si muove all’interno della sua psiche e in rapporto agli altri? Dove esprime un malessere, dove un benessere? Come vive i suoi sintomi?

La Scala del Livello di Funzionamento ci fa immaginare, quindi, un movimento su questo continuum, dove si stabilisce un collegamento tra personalità normale e patologica, tra un alto funzionamento e un’estrema compromissione.

Test DPA-Dimensional Personality Assessment

Ho avuto la fortuna di partecipare al progetto di costruzione di un Test che va a valutare tutto questo: il DPA-Dimensional Personality Assessment (Barbaranelli, Pacifico, Rapanà et al., 2019).

Tale strumento permette alla persona di riconoscersi nella sua valutazione, di riconoscersi nei termini utilizzati perché semplici e comprensibili; permette di contribuire a una classica valutazione psicodiagnostica (Rapanà e Barbaranelli, 2019b) e di attivare già un cambiamento terapeutico al momento della restituzione se fatta da un professionista esperto con un atteggiamento empatico e costruttivo, prestandosi a essere uno strumento idoneo all’Assessment Terapeutico (Finn, 2007; Finn, Fischer e Handler, 2012); permette inoltre un rinforzo per l’alleanza diagnostica e terapeutica nel caso ci sia poi una presa in carico e soprattutto di aiutare il professionista ad effettuare la pianificazione di un trattamento personalizzato (Norcross, 2011b).

L’aspetto più importante che comunque si vuole sottolineare riguardo alla presente trattazione, è che nel nostro essere in continuo movimento, i volti della nostra personalità, attraverso le dimensioni valutate dell’Identità e dell’Autodirezionalità nell’Area del Sé e dell’Empatia e dell’Intimità nell’Area Interpersonale, si esprimono in diretto contatto con gli eventi dell’esperienza umana.

Il DPA, come Test innovativo di valutazione processuale della personalità, rappresenta uno strumento di monitoraggio del percorso psicoterapico d’indubbio valore (Rapanà, 2020; Rapanà e Barbaranelli, 2019a).

Monitorare l’andamento di una terapia e verificarne la sua efficacia permette anche di stare in linea con un’evidence-based practice (Goodheart, Kazdin e Sternberg, 2006; Norcross, 2011a; Norcross e Lambert, 2019) e di includere così la ricerca scientifica nella pratica clinica e nella psicoterapia (Wampold e Imel, 2017; Norcross e Lambert, 2019).

Conclusioni

Entrare in un percorso di psicoterapia significa viaggiare all’interno della personalità dell’individuo. Lì dove sarà presente un disturbo, si lavorerà per trasformare gli aspetti patologici in aspetti migliorativi per il soggetto attraverso tecniche e strategie d’intervento psicologico per il cambiamento (Rapanà, 2014; Roberts, Luo, Briley et al., 2017).

Lì dove non saranno presenti disturbi della personalità comunque sarà attivato un processo che porta a una maggiore conoscenza di sé e a un’esplorazione delle aree più profonde del Sé, dei pensieri più disordinati o dimenticati, dei comportamenti non voluti, di emozioni represse, e tutto si rimescolerà mostrando nuovi volti della persona.

Un unico essere che modifica continuamente ciò che è in figura e ciò che è sullo sfondo, in giochi percettivi di luce che nell’armonia di dialoghi interni e di comunicazione efficace con l’esterno, avrà la possibilità di un divenire consapevole, di entrare nel suo processo d’individuazione per una qualità di vita legata sempre più a un miglior essere.

La ricerca ci mostra come i tratti di personalità abbiano un effetto significativo anche sullo stato di salute fisica e mentale, sul successo lavorativo, sulla vita relazionale e familiare, ecc. (Ozer e Benet-Martínez, 2006).

Mi piace, a tal riguardo, riportare il volto della personalità, raffigurato da Spalletta, come “sistema immunitario” che «esprime il suo valore adattivo quando impiega efficacemente le risorse insite nel temperamento, la funzionalità dei suoi tratti caratteristici e del tipico stile acquisito, frutto dell’interazione tra “madre natura e madre cultura”» (Spalletta, 2010, p. 64).

Uno strumento di valutazione dimensionale della personalità come il DPA-Dimensional Personality Assessment, molto sensibile a cogliere tutte le sfumature dei vari cambiamenti del soggetto durante un percorso psicoterapico, insieme anche ad altri strumenti di registrazione dei dati (Rapanà, 2013), è uno strumento che attraverso il monitoraggio accompagna il professionista in una danza con il proprio cliente/paziente, rispettando principalmente il ritmo di quest’ultimo.

L’alleanza terapeutica permetterà così al volto di ogni aspetto della personalità, di prendere forma per poi essere integrato nella complessità della persona apportandole un maggior benessere.

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